“Torniamo all'antico e sarà un progresso”: con questa frase _ inserita all'interno dello striminzito booklet del
Green Album _ i Weezer hanno riassunto tutte le puntate precedenti della loro carriera: l'esordio con l'omonimo disco (il blu, quello di
Buddy Holly, Undone e
Say it isn't so) e il “difficile secondo album”: lo splendido
Pinkerton. Una tappa travagliata quest'ultima, che ha quasi messo la parola fine alla formazione americana, mai così vicina allo scioglimento (per fortuna scongiurato). Da li a poco ci sarebbero stati altri cambi di line up (il bassista Mikey Welsh lascerà presto per problemi di salute) ma nulla a confronto con gli scossoni del periodo 1997/2000. Il “ritorno all'antico” della formazione di Los Angeles parte dalla grafica: rispetto al debutto cambia il colore, ma la copertina _ che immortala la band su uno sfondo colorato _ è praticamente la stessa, riaggiornata di qualche anno. Il sound _ un robusto power pop punk _ non presenta grossi scossoni, eccezion fatta per l'arrabbiata
Hash Pipe, scelta dalla band come singolo apripista del lavoro, nonostante la richiesta della Geffen di puntare sulla scanzonata
Don't let go. Bella anche
Island In The Sun (con il video firmato da Spike Jonze). Di un altro livello
Simple Pages, ennesimo esempio dell'abilità di scrivere di Rivers Cuomo, capace di incastrare alla perfezione le parole tra gli accordi power e le trame di chitarra che costituiscono il 90% del wall of sound dei Weezer. In questo senso il wah wah di
Crab è una garanzia. La chiusura in bellezza con lo spleen di
O Girlfriend, meravigliosamente triste. Il
Green Album è l'ultimo disco da avere dei Weezer, e chiude al meglio il primo capitolo della loro storia, sicuramente quello più significativo.
Nessun commento:
Posta un commento