Specter at the Feast: lo spettro, invocato nel titolo altri non è che il padre di Robert (mentore della band e componente dei Call negli anni Ottanta), scomparso nel 2010. La rielaborazione di un lutto, la voglia di celebrare la figura di Michael Been, padre del bassista: un cerchio che si chiude a livello umano e di riflesso sul piano musicale. L'album si apre con gli armonici di Fire Walker, tono sommesso per Robert Been e miglior viatico per immergersi nella atmosfere rarefatte del disco (Some Kind of Ghost), che per la cronaca, è un signor disco. Più misurato rispetto al precedente (e nonostante tutto più felice e consapevole), sintetizza un percorso non privo di battute d'arresto, magari dalle alterne fortune, ma sempre il linea con il loro credo sonico. Non a caso i BRMC cantavano fieri “I gave my soul to a new religion, whatever happened to our rock and roll." In questa versione Let The Day Begin, cover dei Call, ricorda per stile chitarristico le intuizioni di The Edge. Returning, intrisa di malinconia è un estremo emozionante saluto, così come il gospel di Sometimes The Light, tra gli slow migliori dei nostri. Specter at the Feast _ ispirato al dramma shakespeariano Macbeth _ ripropone, con maggiore sobrietà il meglio della carriera della formazione americana. Stavolta però i riverberi shoegaze, la psichedelia à la Jesus and Mary Chain non monopolizzano la scena: semmai è il mood del capolavoro Howl a essere predominante con le sue venature folk/blues ( basta Lullaby, la 4° canzone per la conferma: mio disco dell'anno). Il R'n'R selvaggio non manca: il trittico Teenager Disease, Rival e Hate The Taste in concerto farà sfracelli. Pelle d'oca per Loose Yourself: evento più unico che raro al giorno d'oggi.
giovedì 28 febbraio 2013
mercoledì 27 febbraio 2013
If it makes you happy
It can't be that bad
If it makes you happy
Then why the hell are you so sad
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giovedì 21 febbraio 2013
mercoledì 20 febbraio 2013
Torni a bordo (c...o!)
E' giunto il momento di riprendere in mano il blog, magari riducendo le ore di ricreazione, sempre più frequenti ultimamente. Sto cercando di ricaricare le pile. Serve più rock'n'roll. E in marzo i Balck Rebel Motorcycle Club suonano ai Magazzini Generali a Milano: consecutio temporis.
Concerto da inserire nel C.V.
Concerto da inserire nel C.V.
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giovedì 7 febbraio 2013
Tomahawk: Oddfellows
Mike Patton non riesce proprio a stare
fermo, è più forte di lui: dopo Faith No More, Fantomas, Pepping
Tom, l'avventura crooner con Mondo Cane, ecco tornare _ era ora _ i
Tomahawk, super gruppo elitario del rock alternative. Il singer di
Epic se la gioca con Lanegan, altro onnipresente del settore.
Oddfellows (uscito per l'etichetta Ipecac Records) sancisce il
ritorno del gruppo a sei anni da Anonymous, il precedente album, ma
guai ad equipararla ad un'operazione meramente commerciale, specie
per il tenore complessivo di un album improntato alla ricerca e alla
sperimentazione. Mostruoso come sempre, l'onnivoro Patton passa con
disinvoltura da un registro all'altro senza troppi convenevoli, note
pulite svaniscono, schiacciate da parole ora urlate ora sussurrate
(con piglio sinistro of course)! Limitarsi ad elogiare Patton però,
significa non rendere giustizia ad una formazione stratosferica
completata da Duane Denison (Jesus Lizard, Unsemble,), John Stanier
(Helmet, Battles,) e per l'occasione da Trevor Dunn (Mr Bungle,
Fantomas). Fosse un progetto “normale” I.O.U con quel basso
poderoso e una drum machine semplice semplice (i rimandi ai Pepping
Tom si sprecano) si candiderebbe a ballad del disco, invece diventa
un bel lento incazzoso e anti-convenzionale. Se le ottime South Paw e
Stone Letter ricordano gli ultimi Faith No More, una lucida follia è
la stella polare di Patton in White Hats/Black Hats: cosa riesce a
fare in 3.21? Una botta d'energia clamorosa e malata, à la Melvins
per intenderci. Un disco che non può annoiare: ad ogni ascolto si
scopre qualche particolare in più, necessario per (cercare di )
trovare il bandolo della matassa.
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martedì 5 febbraio 2013
lunedì 4 febbraio 2013
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