Ad anni di distanza dall'ultima
apparizione, tornano sui radar degli audiofili più lo-fi oriented i
Sebadoh, progetto parallelo di Lou Barlow, fresco di reunion/tregua
con J Masics nei Dinosaur Junior. Forse rispetto a questi ultimi _
defilati nel calderone grunge ma imprescindibili per il movimento
alternative degli ultimi vent'anni _ i Sebadoh non avranno il tiro,
privi degli assoli spaziali di Masics, bordate bulimiche di wah wah,
eccessi chitarristici più unici che rari. Magari manca qualcosa nel
confronto con la band madre (ad esempio in termini di complessità
nel songwriting), ma stavolta Barlow confeziona, se non il lavoro
migliore del gruppo, sicuramente il più equilibrato e se vogliamo,
accessibile. Fieramente autoprodotti, i Sebadoh mancavano nel
panorama indie attuale. Nessuna rivoluzione sia chiaro, ma una decisa
crescita espressiva più che tecnica. Anche l'approccio, seppur
nostalgico _ per la cronaca Beat è 4:19 di Seattle Sound _ non
risulta fuori tempo massimo, ma si lascia apprezzare per il suo
caustico finale. Oxygen, un inno alla spensieratezza, anticipa la
strumentale Once: sicuramente sarà manierista, un esercizio di stile
tra punk e lo-fi, ma mantiene alto il mood complessivo. Coadivato da
Jason Loewnstein e dalla new entry Bob D'amico, Barlow conferma il
suo stato di grazia con una serie di melodie sgangherate, toccasana
per rilassarsi in spensieratezza e antidoto usato dal leader della
band per esorcizzare un periodo difficile culminato con un divorzio
(Let it out). Punk sul velluto per i Sebadoh, invecchiati come il
buon vino.
giovedì 14 novembre 2013
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