Dal vivo potevano essere la peggiore o
la miglior band del mondo. Potevano incendiare il palcoscenico
mandando in visibilio i presenti oppure entrare in scena mosci e
svogliati, fregandosene dei fischi, delle critiche, di tutto. Genio e
sregolatezza ( quella in abbondanza...). Per la loro attitudine, e
grazie a un repertorio in grado di giocarsela _ tanto per fare nomi _
con Husker Du e Minuteman, i Replacements si imposero come band cult
nel circuito dei college americani. Dal proto-harcore degli esordi (
estrinsecato nel geniale lp Sorry Ma, Forgot to Take Out the Trash) a
quell'ibrido di punk country e alternative degli anni belli. Metà
ottanta: il periodo d'oro, con l'accoppiata Let It Be e Tim, album
clamorosi rilasciati a pochi mesi di distanza. Nella scelta di
“prendere in prestito il titolo dell'album” dai Fab 4 la prova
che la strafottenza degli esordi c'è ancora, forse nel 1984 era meno
sguaiata, ma ancora maledettamente efficace. Westerberg,
accompaganato dai fratelli Stinson (il compianto Bob e Tommy, attuale
bassista dei “nuovi” Guns) e dal drummer Chris Mars urla ancora
come un ossesso come in We're Comin out, che più punk non si può, e
parla di frustrazioni adolescenziali, rabbia, sconfitte,
divertimento, regalando una manciata di canzoni da tramandare ai
posteri. Dalla dolcezza di Sixteen Blue, all'energia di Tommy Gets
his Tonsils Out, dedicata al più giovane componente della band.
Fregandosene di logiche commerciali, si avventurano _ non senza
rischi _ imbastardendo Black Diamond dei Kiss. Let it be regala 11
canzoni che testimoniano la crescita nel songwriting di Westerberg
(Androgynous classico dimenticato per voce e piano), mentre
Unsatisfied, nella sua onesta fragilità, è l'emblema di chi vuole
arrivare al punto, in primis con se stesso. Una resa magnifica e
indignata _ anche_ nel nome del rock .
giovedì 27 febbraio 2014
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