Dall'otto abbondante elargito da Q al 4
_ una mazzata di recensione _ affibbiata loro da Uncut. Nel regno
unito i White Lies viaggiano a corrente alternata con fan e
detrattori divisi in maniera piuttosto netta. Per gli inguaribili
ottimisti Big Tv è un esempio di post/new wave della miglior specie.
Per tanti altri, invece, un disco iper prodotto, che raramente riesce
ad emozionare e nasconde evidenti carenze compositive. A onor del
vero l'album _ un concept basato sulle vicende di due giovani
innamorati che, abbandonata la provincia, vanno a vivere in una
grande città _ è sicuramente più omogeneo del precedente Ritual.
Secondo il bassista Charles Cave, Big Tv è anche il capitolo più
melodico della loro discografia, un tripudio di tastiere e
orchestrazioni ambiziose. Ogni tanto i nostri escono dal seminato,
evocando (l'abominevole) Simon Le Bon in Mother Tongue, ma quando si
torna al post-punk degli esordi (There Goes Our Love Again) sembra
tutto perfetto: quasi sempre nello scorrere della tracklist una
melodia sostenuta apre ad un ritornello killer, che rimane impresso
per la sua freschezza. Questi _ personalmente _ sono i White Lies che
preferisco. I problemi, semmai arrivano con i brani più lenti:
difficilmente riescono ad emozionare (ad eccezione di Change,
“numero” del produttore dei Suede Ed Buller). In questo la
distanza con i primi Editors o con gli Interpol c'è ancora. Un gap
risibile nei mid tempo magniloquenti (Getting Even). Nel complesso,
il tentativo di aggiornare ai giorni nostri la grandeur del rock di
metà/fine Ottanta, unendo in un colpo solo atmosfere care a Simple
Minds, Echo And The Bunnymen, Depeche Mode, Cars sembra abbastanza
riuscito.
venerdì 13 settembre 2013
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