Dall'affollato cyberspazio di web zine
si fa largo tra la folla un (almeno per il sottoscritto) illustre
sconosciuto, tale Jonathan Wilson di cui (ahimé) non sapevo nulla.
Peccato madornale, iperbolico, totalizzante. Lo ammetto. Sta a vedere
che dal limbo esce fuori uno davvero bravo... il dubbio si trasforma
in una certezza ascoltando Fanfare, ottimo disco fresco di stampa: la
conferma dopo un debutto acclamato dalla critica specializzata. Un
bel viaggio, un salto indietro nel tempo decenni addietro quando si
registravano canzoni in presa diretta, con un'urgenza comunicativa
quasi estinta al giorno d'oggi. Suoni vintage, tra folk, psichedelia
Seventies ed un elegante attitudine rock, trait d'union del disco. A
parte gli echi Floydiani in Lovestrong, il suono della West Coast, il
suono della tradizione, si riverbera su un songwriting consapevole e
smaliziato, segno che Wilson conosce a memoria la materia: potrebbe
essere un profondo conoscitore di ogni singola nota suonata da CSNY.
Un gioiellino, ricco di imperfezioni piacevolissime, come
certe sbavature di wah wah o hammond. In termini di autenticità il
disco risulta un gradino sopra la media, nessuna concezione a facili
soluzioni, niente di “telefonato” per intenderci, ma una serie di
divagazioni sul tema, gradevoli nella loro autenticità. L'inizio di
Moses Pain, forse è stato scritto e riscritto centinaia di volte in
passato, ma voce e chitarra riescono ancora ad emozionare senza
fatica. Fanfare non è solo questo sia chiaro (ambito nel quale
Wilson si avvicina alle vette di un certo Ellioth Smith), ma è anche
un caleidoscopio dove trovano spazio ambiziose partiture per archi
come in Dear Friend, 7 minuti jazzati a spasso tra deserti, canyon e
galassie, ennesimo viaggio che si completa nel video omonimo.
mercoledì 6 novembre 2013
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