sabato 9 giugno 2012

Rufus Wainwright: Out of The Game

La melodia ingenua che permea l'iniziale Out of The Game è il modo migliore per dissipare le nubi dalla recente produzione di Rufus Wainwright: il dolore _ enorme _ per la scomparsa della madre è stato metabolizzato e dalla rielaborazione del lutto (approfondita nel precedente, plumbeo All Days are Nights) esce un piccolo inno alla speranza. In una recente conferenza stampa, Wainwright ha presentato Out of The Game come l'album più pop della sua carriera. Una definizione che sintetizza senza inutili iperbole il tenore di queste canzoni, squisitamente retrò ma altrettanto piacevoli, proprio perché leggere. Assenti quasi del tutto quegli strambi scenari musicali che ogni tanto affioravano nei vecchi dischi del nostro, qui accompagnato dal produttore Mark Ronson. Non uno qualunque, dato che ha reso Back to Black perfetto, assecondando e indirizzando il grande talento di Amy Wineouse. A conti fatti la mano del producer si sente eccome, abile nel porre un freno all'esuberanza di Wainwright, non estraneo, anche nel recente passato a battute a vuoto, figlie dell'esigenza di strafare. Vizio che ritorna purtroppo in Bitter Tears, dove il nostro sembra un pesce fuor d'acqua in un episodio affine ai Pet Shop Boys. Meglio Rashida che ricorda McCartney. L'unica concessione a questa “grandeur compositiva” è rappresentata da Montauk, classica nelle intenzioni e insolitamente contemporanea nei risultati, si appoggia su un tappeto d'archi e una progressione pianistica in crescendo.

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