martedì 25 gennaio 2011

The Black Crowes: Croweology

Croweology, doppio cd dei Black Crowes è tante cose tutte assieme: innanzitutto un grandissmo live album testimonianza di una band ancora una volta in stato di grazia, poi è il riassunto della carriera del gruppo, erede della migliore tradizione rock a stelle e strisce (secondo il magazine Melody Maker "The most rock'n roll band of rock'n roll"). Purtroppo questo disco ne è anche il commiato: i fratelli Rich e Chris Robinson hanno deciso di smettere di volare per qualche tempo, con buona pace dei milioni di fan sparsi un po ovunque (hanno venduto oltre 20 milioni di dischi), soprattutto in America. Croweology è quindi un bilancio, la quadratura di un cerchio, un addio (speriamo arrivederci) in musica lungo un pugno di canzoni, 20, esattamente come gli anni di carriera per questi ragazzacci di Atlanta, che dall'esordio del 1990 fino al 1994/96 si storidirono più e più volte tra droghe, alcool donne, risse e litigi, insomma delle teste calde. Ma la musica... chapeau! La triade iniziale _completata da The Southern Harmony e da Amorica del 1994_ ha regalato momenti altissimi, in bilico tra Stones, Faces, Santana e The Band. Ed è bello ascoltare Croweology proprio per il piacere di sorprendersi con nuovi arrangiamenti, nuovi strumenti, una nuova veste per classici impressi da anni nel cuore di chi ha scritto queste righe. L'esordio, oggi come nell'album di debutto di 20 anni fa è affidato a Jealous Again: Stones al quadrato. Remedy in questa versione dilatata e distesa si lascia apprezzare come sempre. Non-Fiction è bella come in Amorica, esattamente come l'uno due di Ballad in Urgency-Wiser Time, probabilmente uno dei momenti più alti di sempre del rock americano. Sentire la voce di Chris cambiata si ma ancora graffiante è un'emozione, anche quando diventa difficile raggiungere certe note così alte. Il secondo dischetto si apre con la toccante She Talks To Angels e termina con il blues di Bad Luck Blue Eyes Good Bye, la loro Since I've Been Loving You ( storico pezzo dei Led Zeppelin). In mezzo il groove di Downtown Money Waster, il rock acustico di Morning Song e un'altra manciata di canzoni indimenticabili. Let's say Goodnight To The Bad Guys!


lunedì 24 gennaio 2011

Cold War Kids: Mine Is Yours

Se ci fermassimo e la smettessimo di correre almeno per un secondo non potremmo non accorgerci della bravura dei Cold War Kids. Basterebbe avere un attimo di pazienza e fidarsi (un po alla cieca me ne rendo conto) di chi sta scrivendo questa recensione per passare un'oretta scarsa in compagnia di ottima musica. Il paradosso è che nell'era di I-Tunes e del web 2.0, afflitti da manie di onnipotenza e ingordigia musicale finiamo per scaricare il maggior numero possibile di mp3, ma anche per dimenticarci di molte cose. Troppa carne al fuoco e il risultato è che si trascurano cavalli di razza. Loro, i Cold War Kids capitanati dal cantante e pianista Nathalin Willet rientrano in questa categoria per svariati motivi. Loro sono una spanna sopra gli altri e sempre loro sono puntualmente dimenticati dai più. Certo la musica proposta non è facilmente accessibile: nonostante siano Californiani (e quindi contravvenendo al più classico dei luoghi comuni che vorrebbe solo gruppi spensierati in quel pezzetto d'America) il loro è un sound cupo, molto brit e impregnato dall'attitudine dark di certa new wave anni '80. Rispetto all'illustre concorrenza che si rifà a Cure, Joy Division e soci però quelle atmosfere sono sporcate con sonorità americane che affiorano di tanto in tanto. L'ingrediente segreto. Fossero usciti 20/25 anni fa forse avrebbero fatto il botto, oggi incomprensibilmente, si devono accontentare del ruolo di cult band. Billy Corgan degli Smashing Pumpkins già ai tempi del sorprendente Robbers & Cowards ne parlava in toni entusiastici. Ci fosse una giustizia divina nel mondo della musica questo terzo disco, sicuramente meno ostico del precedente, dovrebbe ottenere migliori fortune. Royal Blue si apre al pop con una melodia piacevolissima, nella quale i singoli arrangiamenti all'apparenza discordanti finiscono per incastrarsi alla perfezione. Louder Than Ever è li e chiede solo di essere “postata” e codnvisa su qualche social network. D'altronde lo hanno detto anche loro intitolando il loro terzo album Mine is Yours: quel che è mio è tuo.

martedì 18 gennaio 2011

Soundgarden: Telephantasm

Questo disco, passato inosservato nonostante la certificazione doc, ovvero il marchio di fabbrica della band che lo ha realizzato, merita una seconda chance: stiamo parlando dei Soundgarden, rientrati in corsa dopo lo scioglimento di fine anni 90'. Stiamo parlando di un gruppo che per qualità, anche nei suoi periodi più bui, è stato abbondantemente sopra la media. Una decisione dolorosa la separazione, che sancì la fine simbolica di parte della scena di Seattle e dintorni. Infatti, la chiusura di quel capitolo _iniziato all'alba degli anni Ottanta_ diede il colpo del definitivo ko (dopo la morte di Kurt Kobain) ad un movimento su cui lentamente si spensero i riflettori. Il discorso è stato riportato in auge nell'ultimo biennio, quando oltre ai soliti grandi nomi che non hanno mai mollato (Pearl Jam, Mark Lanegan, Mudhoney, Melvins, Dave Grohl etc.) e ai second comer (Stone Temple Pilots su tutti) sono tornati i redivivi Alice in Chains ed ora i Soundgarden: nomi grossi. E Telephantasm è il loro biglietto da visita, la testimonianza di una delle band più straordinarie degli ultimi vent'anni. Nonostante la musica sia una scienza inesatta qui siamo di fronte ad algoritmi quasi matematici: una sezione ritmica granitica, un wall of sound incredibile che dipinge scenari apocalittici (come quelli della cover dell'album) dai quali è visibile nitidamente il profilo di Cornell: shouter della migliore tradizione dell'hard rock, tanto per capirci un Robert Plant anni '90 che si avventura con caparbietà spingendo al limite delle proprie possibilità una voce unica. Black Rain, outtake riaggiornata proveniente dalle sessions di un disco del 1992 intitolato Badmotorfinger, ricorda al mondo la forza deflagrante che sprigionava il quartetto on stage, qualcosa fatta lustri prima solo dai Led Zeppelin. Ovviamente è consigliata la versione deluxe, ricca di demo, outtake, live version che si accompagnano al cd vero e proprio, una sorta di greatest hits che ripercorre tutta la carriera della formazione, dagli esordi più hard rock alle contaminazioni che fecero la fortuna di Superunknown passando per l'epicità essenziale di Down on The Upside, ricco di gemme come Blow The Upside World e Pretty Noose. Da (ri)scoprire.

giovedì 13 gennaio 2011

Beady Eye: The Roller

-This tune just gets better & better-

mercoledì 12 gennaio 2011

Tron Legacy: O.S.T.

Dopo aver visto al cinema Tron Legacy, sequel del primo capitolo fantascientifico del 1982 (intitolato Tron) con Jeff Bridges ho deciso di "approfondire" il discorso ascoltando la colonna sonora del lungometraggio composta ad hoc dai Daft Punk, vero e proprio valore aggiunto dell'intero progetto targato Disney. Dato che l'ultimo vero lavoro del gruppo elettronico risale a 5 anni fa (il sorprendente Human After All) molti fan attendevano con ansia qualcosa firmato dal duo francese e vista la penuria di produzioni griffate dai nostri anche una soundtrack è utile per ingannare l'attesa. I Daft Punk sono stati maestri ancora una volta: abili a calarsi appieno nel mood "revivalista" del film, hanno pianificato un accompagnamento che unisce e rielabora frammenti di suoni vecchi di vent'anni come l'incipit di Rinzler (le prime colonne sonore del genere) abbinandoli ad inserti più "classici" e ariosi con ampie sezioni di archi. Classica ed elettronica raramente si sono sposate così bene e il merito è tutto di questi alchimisti sonici. Il pezzo intitolato The Game Has Changed (volutamente abbozzato) è eloquente un questo senso. Adagio for Tron, e Nocturne _potrebbero tranquillamente essere state composte da Morricone o Williams_ spostano decisamente l'orizzonte verso la musica classica. Poi quando l'ascolto sembra indirizzato su certi binari ci pensa End of Line (i Daft punk la suonano in un cameo del film dove giocoforza sono dee jays in un locale virtuale ) a ridiscutere il tutto. Se Fall accompagna le scene più ricche di pathos di questo cult riaggiornato, il Jolly è l'energica Derezzed, inconfondibile dimostrazione di tecnica e stile.

martedì 11 gennaio 2011

11/01/'11

ANNA AMA OTTO

domenica 9 gennaio 2011

Best of 2010

Rieccomi dopo qualche giorno di latitanza dal blog... per l'occasione ho deciso di postare la mia personale classifica (uscita anche sull'inserto Alta Fedeltà) con il meglio del 2010, artisti, album e canzoni (con link annessi), esattamente come ho fatto l'anno scorso. Keep on rockin' in a free world.
1) Manic Street Preachers
Postcards from a young man
The Descent http://www.youtube.com/watch?v=h3rMCgGhrME
2) Stone Temple Pilots
S/t
Take a Load Off http://www.youtube.com/watch?v=L69lQB8zBJw
3) The Black Crowes
Croweology
Thorn in My Pride http://www.youtube.com/watch?v=03DdRyLEYWc&feature=related
4) The Charlatans
Who We Touch
Love Is Ending http://www.youtube.com/watch?v=WwO6H9rTfMg
5) Isobel Campbell & Mark Lanegan
Hawk
You Won't Let Me Down Again http://www.youtube.com/watch?v=8TQJAb3W838
6) Black Rebel Motorcycle Club
Beat The Devil's Tattoo
Bad Blood http://www.youtube.com/watch?v=pc3MDCYtK8w
7) Slash
S/t
Promise
http://www.youtube.com/watch?v=gkrKN5fn4P4&feature=related
8) Mike Patton
Mondo Cane
Deep Down http://www.youtube.com/watch?v=zaUrzMeS4xg
9) Jamiroquai
Rock Dust Light Star
Blue Skies http://www.youtube.com/watch?v=Dg7E9wEQVOA
10) Kula Shaker
Pilgrim's Progress
Peter Pan R.I.P.
http://www.youtube.com/watch?v=h47fHpIL-MY

giovedì 6 gennaio 2011

Gorillaz: The Fall

Speak It!, SoundyThingie, Mugician, Solo Synth, Cleartune, StudioMiniXI, BassLine, Harmonizer: sono alcune delle applicazioni per I-Pad con le quali i Gorillaz hanno registrato The Fall, regalo natalizio per i loro fan. Attenzione: non è del seguito dell'ottimo Plastic Beach che stiamo parlando, ma di un divertissement senza troppe velleità, e purtroppo (va detto) senza molti guizzi. Stavolta non c'è nessuna potenziale hit, nessuna Clint Eastwood all'orizzonte. Ovvio, sarebbe impossibile biasimare Damon Albarn & Co. per aver tenuto in serbo i colpi migliori in vista del prossimo Lp, e altrettanto logico invece apprezzare lo sforzo, sulla via di uno sperimentalismo tout court, che mette al centro, non le idee ma i mezzi, gli strumenti più dei musicisti, la forma e non la sostanza. In una parola sola la tecnologia. Probabilmente l'ex singer dei Blur rientra nella schiera di chi individua nei supporti digitali e hi-tech la vera rivoluzione (forse l'ultima?) per il futuro della musica. In molte interviste Albarn si è detto entusiasta della tablet oggetto "cult" del 2010, e con altrettanta fierezza ha presentato al mondo questo suo nuovo lavoro che per importanza prettamente musicale potremmo accostare ad un disco di outtake, remix e lati b, (lui lo chiamo D Sides) ma nell'insieme stiamo parlando di una rivoluzione copernicana: i Gorillaz hanno aperto un varco, individuando nella marea di app utilizzate il corrispettivo dello scratch anni '80. Alcune soluzioni sono al limite del kitch _l'intro di Phoner to Arizona_ altre sono proprio trovate da guascone, come l'assurdo Seattle Yodel pochi secondi di delirio per quello che è un piccolo ossimoro musicale lungo 39 secondi. Poi c'è Revolving Doors, tra i pezzi suonati di The Fall e in Hillibilly Man spunta anche la chitarra dell'ex Clash Mick Jones. L'urlo à la Prodigy di Detroit (il bluff durerà pochi secondi) apre a un sound da happy hour, in mezzo ci sono anche basi da mc e atmosfere vicine alle vibrazioni provenienti da Bristol.