giovedì 29 luglio 2010

Liftiba@ Carpi

Archiviata la guerra fredda che tanto male ha fatto sia a Pelù che al Renzulli (come si dice in dialetto fiorentino) i Liffiba si sono ritrovati e guardandosi in faccia, hanno deciso di riprendere le fila di un discorso interrotto (malamente) oltre 10 anni fa. Dopo i live di riscaldamento _ tutti esauriti_ di questa primavera quindi i rocker fiorentini hanno fatto tappa anche a Carpi per esportare il loro Stato Libero, questo il nome del doppio live uscito le scorse settimane. Assieme a loro anche la poetessa del rock Patty Smith ed Elio e Le StorieTese che, in tempi non sospetti mediarono le inconciliabili divergenze umane e artistiche tra Piero e Ghigo con la canzone Litfiba Tornate Insieme. Su Elio e soci c'è poco da dire: sono mostruosamente bravi, una macchina da guerra perfetta, con una precisione e una padronanza tecnica che in Italia non ha assolutamente rivali. Tre al prezzo di uno, bel colpo per l'Imarts festival che ha fatto riversare nella meravigliosa Piazza Martiri di Carpi moltissimi appassionati. Tutto perfetto (o quasi). Perché ben venga chiamare un'icona come l'autrice di People have the power, ma poi vai a spiegarle che la sua scaletta deve essere "compressa", perché dopo di lei suona qualcun altro. Ora in riferimento alla lunga esibizione di Patty Smith è meglio non pensare ad atteggiamenti divistici quanto piuttosto ad una vitale urgenza espressiva: è scesa dal palco attorno a mezzanotte dopo aver regalato gli immancabili cavalli di battaglia come Because the night, Pissing in a river e una bella cover di Play with fire dei Rolling Stones. Alle 23 e 46 è toccato ai Litfiba: nell'intro di Proibito, Pelù ha "bacchettato" la Smith per aver sforato; quindi scaletta corta e tirata con Cangaceiro, Sparami, Tex, Gioconda, Sole Nero (pessimo l'altro inedito, Barcollo), Ritmo#2 e due pezzi tratti dal sottovalutato Terremoto: Fata Morgana e Dimmi il nome, scritto negli anni di tangentopoli e (tristemente) di un'attualità disarmante. Assolutamente in forma Pelù, per il quale il tempo non sembra passare mai e che vicino a Ghigo risulta ancora più energico. Perfetta la chiusura (nonostante l'assenza di bis) con El Diablo e Lo Spettacolo. E' proprio il caso di dirlo: que viva el bandido Liftiba!

La P2 è morta, viva la P3: Terremoooooto!!!

domenica 25 luglio 2010

Tesoretto vintage (dalla soffitta)





Colpaccio insperato: vinili di Pink Floyd, Lou Reed, Springsteen e Police.

giovedì 22 luglio 2010

Tom Petty & The Heartbreakers: Mojo

Questo disco sta a Tom Petty come The Rising a Bruce Springsteen: il comeback dopo tanti anni con la sua combriccola, quegli Heartbreakers che come gruppo di classic rock a supporto di un solista sono stati secondi solo al Boss e alla sua E Street Band in stato di grazia, come documenta il sontuoso live album uscito a inizio 2010. Ora, date le coordinate "emotive" è giusto soffermarsi su quelle prettamente musicali: bandita la pulizia sonora di certi studio Lp (stiamo parlando di un disco registrato in presa diretta e non stravolto da sovraincisioni) Petty naviga con convinzione e profiquamente sulle torbide e paludose acque del Missisipi. E va detto, il blues che c'è in Mojo è tanto e di ottima fattura. Come la sua visione di rock: inequivocabilmente d'altri tempi. I 4 minuti scarsi di I should have known it sono debitori esclusivamente ai riff magici e immortali di un certo Jimmi Page, ottima soluzione su cui si poggia tutta la struttura di un brano che accellerando nella parte finale si candida ad essere una presenza fissa nelle scalette dei concerti futuri. I meriti sono del sottovalutato Mike Campbell guitar hero del combo. Jefferson Jerico Blues invece aggiunge alla ricetta sentori di boogie woogie. Lover's touch rallenta un pò, senza brillare troppo per originalità. Piacevole e nulla più don't pull me over, in cui Petty gioca a suo modo con il reggae. Mojo si risolleva senza problemi dai due (parziali) tiri a vuoto con Something good coming con il suo messaggio ingenuo di speranza e rivincita e la dolce No reason to cry. Dylan ha bussato alla porta di Petty anche per U.S. 41 (più lenta rispetto a Subterrean homesick blues) che partendo chitarra e voce si arrichisce di armonica, riff slide e del contributo di ognuno degli Heartbreakers. Insomma uno dei migliori dischi del panorama classic rock dell'ultimo periodo.

mercoledì 21 luglio 2010

I'm not sad.



Heaven's on fire.
A chi mi accusa di musilunghi nelle ultime scelte musicali rispondo con questo brano. Loro sono i Radio Dept (non faranno mai successo), ma almeno hanno sfornato uno dei tormentoni morali del 2010.

martedì 20 luglio 2010

Veleno.

Il mio karma traballa e piscio spesso di fuori ma in magazzino ho ancora troppi rancori che mi fanno buttare anche senza una rete mangiando sale per placare la sete.

domenica 18 luglio 2010

Nonsense.

HEY FOXYMOPHANDLEMAMA, THAT'S ME.

mercoledì 14 luglio 2010

Kula Shaker: Pilgrim's Progress

Sono “mediorientali” i Kula Shaker del 2010, l'aggettivo non si riferisce a una collocazione geografica, sia chiaro, ma all'affievolirsi della febbre per l'india di Crispian Mills, uno dei pochi e sicuramente più autorevoli interpreti della materia applicata al rock d'albione, secondo forse solo a George Harrison. Il misticismo, come detto è in minore nelle traccie di Pilgrim's Progress. Il gruppo con il seguito di Strangefolk ha lavorato di sottrazione: meno oriente (Figure it out), meno raga indiani, meno droghe di un tempo forse, meno divagazioni sonore. Un lavoro di equilibrio, dove il rock non è sbarazzino come ai bei tempi_quelli fumosi e alterati dall'oppio immaginando tramonti sul Gange_ ma è più maturo, riflessivo se vogliamo. Gli anni '60, rimangono in pole, così come la cultura beat che si lega ad intuizioni più consapevoli, forse di maniera e meno “sguaiate”. Per rivivere quella magia selvaggia alla Hey Dude per intenderci c'è sempre il meraviglioso debutto di K, come allo stesso modo per ubriacarsi di India, rock, pop e psichedelia esiste il consigliatissimo seguito di Peasant Pigs & Astronaut. Questa nuova terra è meno impervia che in passato dunque. Ci sono novità interessanti come Peter Pan Rip, che si regge su un delizioso gioco di archi, un balletto che rimanda agli esperimenti del polistrumentista Brian Jones_ il primo stone_ ci sono carezze pop che meriterebbero (purtroppo so che andrà a finire così) ben altra gloria. C'è Morricone che affiora prepotentemente in When a Brave Needs a Maid o in Calvary, dall'andamento dinoccolato. L'anima però rimane sempre quella di un tempo ad esempio guardate sul loro myspace: nessuna band inglese ha in programma date a Kuala Lumpur o a Jakarta. Mills lascia, ancora una volta gente ben più fresca a mordere la polvere, prendendosi gioco del tempo che se ne va ( il suo viso è identico a quello di 10/15 anni fa), delle mode del momento. Ma questo l'ha sempre fatto, solo che ora è meno incazzato e più consapevole.

sabato 10 luglio 2010

Brutta vita.



Jack Johnson, il protagonista di questo video se la passa davvero male. Povero.

mercoledì 7 luglio 2010

The Black Crowes: Shake your money maker

"What's so bad about the Black Crowes?" Con questo titolo l'edizione americana di Rolling Stone presentava al mondo il fenomeno dei Corvi di Atlanta. Si, fenomeno: l'appellativo non è affatto esagerato alla luce dell'esplosiva miscela di rock'n roll, blues e soul che ha accompagnato un esordio cristallino. Il periodo psichedelico della band era ancora lontano e nemmeno abbozzato nel 1990, al tempo di questo debut album ricco di hit: a partire dalla cover di Hard to Handle di Otis Redding al rock sbarazzino di Thik 'n thin. Anche gli altri singoli non scherzano: la stonesiana Jealous again, oppure Twice as hard, esempi perfetti del miglior rock americano. Ai tempi i "fratelli coltelli" Robinson non erano ancora ai ferri corti e nonostante una tensione che, di album in album sarebbe aumentata a dismisura fino al punto di rottura nel 2000, erano capaci di incastonare gemme acustiche come la dolce She talks to angels tra le pieghe di brani vivaci e grintosi. Se col tempo i Black Crowes si sono lasciati suggestionare prima dagli Zeppelin e più recentemente dai Lynyrd Skynyrd all'inizio di carriera i nostri guardavano agli Stones: Chris Robinson, cantante smilzo fece riviere il personaggio ideato da Jagger anni prima, con la differenza di una voce roca e soul molto simile a quella di Rod Stewart dei Faces. Shake Your money maker è a conti fatti la rivincita del rock old school, anni '70, sporcato dall'hammod e da riverberi di soul music, la tradizione "nera" che rivendica la propria essenza nonostante il mondo alternativo guardi altrove, magari al grunge. Senza ombra di dubbio uno dei migliori album degli anni '90, equamente bilanciato tra esuberanza (Struttin' blues) e momenti melancolici come quelli offerti da Sister Luck e soprattutto Seeing Things.

lunedì 5 luglio 2010

Siete degli amici. Grazie.

giovedì 1 luglio 2010

Big Wave.