domenica 28 aprile 2013

Beady Eye: Q Magazine

-Blue Moon-

venerdì 26 aprile 2013

Mudhoney: Vanishing Point

Ascolti il nuovo dei Mudhoney e viene il dubbio che sia l'album d'esordio. Grandi ragazzi. Ancora una volta Raw Power!

domenica 21 aprile 2013

Sound City: Real to Reel

Grohl re mida del rock? Forse si a giudicare dal tenore dei suoi (sterminati?) progetti solisti. Stavolta non è una band nel senso convenzionale del termine, ma un “partito liquido” del rock. Una formazione trasversale che raccoglie adepti all'area stoner, al grunge, all'alternative, seguaci del noise, passando per i fedelissimi del country, per gli anarcoidi punk e per i metallari duri e puri. Larghe intese per i Sound City Prayers quindi, all star del rock americano. Tutto parte dai Sound City Studios  _ che hanno visto nascere dischi epocali. Jonny Cash, Tom Petty, Nirvana, Neil Young, Ry Cooder etc etc _  e da una console (la Neve 8028) destinata ad un abbandono frutto dell'ennesimo sgarbo tecnologico. Peccato che l'anima di certi oggetti non sia facilmente replicabile.Per salvare il salvabile (la struttura ha chiuso i battenti nel 2011) Grohl ha trasferito la console al 606, il suo studio di registrazione casalingo. Poi, un giro di telefonate dopo, questo progetto è diventato qualcosa di più di un'idea: la colonna sonora per un documentario, diretto dal leader dei Foo Fighters, e presentato con successo anche al Sundace Film Festival. Un gioco di memoria costante: Cut Me Some Slack (i Nirvana superstiti con McCartney) a rinverdire i fasti di Helter Skelter, Heaven and Hell con i Black Rebel Motorcycle club accompagnati dal drumming solido di Grohl. Il disco stuzzica, ricordate i Masters of Reality? Dopo i pezzi in cui compare Chris Gross andate a ripassare la lezione (blues/stoner a palate). Poi ci sono i Ratm, i Foo's, Homme e Reznor che duettano in Mantra e il rock pìù convenzionale con Corey Taylor (From Can to Can't) e Stevie Nicks nel quasi singolo You Can't Fix This



giovedì 11 aprile 2013

Cold War Kids: Miracle Mile

-Searching for good vibes-



mercoledì 10 aprile 2013

The Strokes: Comedown Machine

A due anni dal bel ritorno di Angels, “His Laziness” Julian Casablancas richiama i ragazzi e rimette in moto la macchina. 10 canzoni, giusto 40 minuti di musica. Che sia buona o blasfema tocca a voi giudicare. Magari schierandovi, come il grosso dei magazine e delle fanzine di settore, divisi in maniera “manichea” tra chi ha gridato al miracolo e chi ha liquidato Comedown Machine come il peggior disco del gruppo e _ udite udite _ degli ultimi anni. La verità forse sta nel mezzo, ma per il sottoscritto, notoriamente di manica larga, prevale un voto positivo. Presto detto: due o tre pezzi ricordano il brillante debutto di Is This It e questo basta per divertire, riaggiornare il repertorio più r'n'r senza fotocopiarsi ad libitum (ricordate Room on Fire?) . Il resto rappresenta una nuova e consapevole sterzata verso sonorità ancora più catchy e pop. Abbandonate le schitarrate da redivivi Velvet Underground, sono le tastiere anni Ottanta a dominare la scena, come nel debutto solista di Casablancas, il cantante che ha definito il tenore del “nuovo” corso. Tap Out rappresenta il compromesso storico tra il passato/presente dei nostri, mentre All The Time è in linea con la loro tradizione sonica. Julian Casablancas non canta quasi mai con effetti e altri ammennicoli (un po la sua coperta di Linus), ma si lancia in un falsetto _ sorprendente per chi ha in mente gli Strokes di 10 anni fa. Se per voi Comedown Machine è sinonimo di blasfemia One Way Trigger _ clonata da Take On Me degli A-ha _ farà paura, se invece non temete spauracchi vari i 4.02 del brano sapranno sicuramente divertire. Nel trittico finale il colpo di coda con l'Happy Ending dato dall'omonimo brano, l'hypster song assoluta dell'album e pausa di riflessione tra due ballate: Chances e l'insolita _ inedita e piacevole _ Call It Fake, Call It Karma, oggetto alieno nel loro repertorio. Ma chissenefrega. Sono gli Strokes e in macchina con la propria ragazza sono il compromesso (e due!) migliore per bypassare assurdi network radiofonici. 

lunedì 8 aprile 2013

Queens of the Stone Age: My God is in the Sun

-Le regine pronte al gran ritorno-
Stavolta Homme ha fatto le cose per bene (sembra). Ha reclutato un cast stellare per il nuovo album delle Regine, intitolato Like Clockwork e in uscita il prossimo 4 giugno per l'indipendente Matador Records: Dave Grohl _ di nuovo dalle parti di Joshua Tree dopo Songs For The Deaf _ Trent Reznor, Mark Lanegan, Elton John, Alex Turner degli Artic Monkeys etc etc. Poi tira fuori dal cilindro un artwork in stile vampiresco/Dylan Dog. Altra notizia fresca fresca, è stato reclutato un mostro di bravura, Jon Teodore (già nei Mars Volta) per suonare la batteria dal vivo. E per finire, ciliegina sulla torta, anticipa il nuovo corso con un interessante estratto, My God Is In The Sun. Bello. 


mercoledì 3 aprile 2013

Atoms For Peace: Amok

Quanta curiosità per il debutto degli Atoms For Peace, annunciati e ibernati più volte. Yorke senza i Radiohead. Yorke che si rilassa e mette insieme una band (e che band verrebbe da dire) dopo le intuizioni electro di The Eraser, (il nome del gruppo deriva proprio dall'omonima canzone del suo debutto in solitaria). Sulla carta il non plus ultra del post/rock/electro/ qualsiasicosa. Ovviamente la critica specializzata ha speso parole d'elogio per le rare uscite pubbliche degli Atoms. Ora è in programma un mini tour a ribadire la padronanza dell'esecuzione live (non si discute, per carità!), ma soprattutto ora abbiamo tra le mani (finalmente) Amok. Il disco. Pubblicato da Xl Recordings è un bell'oggettino, un cartonato ripiegabile illustrato in chiave naif, che sintetizza l'astio di Yorke contro i mali di questa modernità disfunzionale, una parata di icone/simboli del capitalismo (petrolio, mass media, banche, addirittura Walt Disney!) sui quali si abbatte una pioggia di meteoriti. Ironiche provocazioni post/apocallittiche a parte, Amok è un disco spesso, in cui la forma canzone viene sacrificata/scarnificata. Il giochino _ ribadito fino allo sfinimento _ consiste nel rendere indefinibile la distinzione tra elettronica e beat umano. E' Flea che suona in questo punto o sono i campionamenti di Nigel Godrich (producer dei Radiohead)? Amok si lascia apprezzare per la ricerca sul ritmo, per l'aspetto elettro/percussivo (encomiabile il lavoro del drummer Joey Waronker e del percussionista brasiliano Mauro Refosco), per quell'anima sintetica che diventa umana per un attimo e si trasforma di nuovo. Non è un disco di canzoni, ma di intuizioni, forse non tutte memorabili, ma in alcuni casi degne di nota (Stuck Together Pieces, Dropped e Ingenue) su tutte. “Eravamo a casa di Flea a Los Angeles, ci siamo fatti e abbiamo giocato a biliardo ascoltando Fela Kuti”. Detto tutto...



martedì 2 aprile 2013

Miss Chain & The Broken Heels: The Dawn

Il country di Calcutta o il brit/western (un ossimoro, ma funziona!) di It's Gone sono piacevoli divagazioni sul tema, un garage pop che rimane in testa dal primo ascolto, in cui il collettivo si mette a disposizione, senza virtuosismi di sorta, ricercando ora la melodia perfetta ora una precisa atmosfera _ qualcuno ha parlato di sunshine pop anni Sessanta. The Dawn, è stato prodotto dalla band con il producer Pierluigi Ballarini (The R's) al T.U.P Studio di Brescia e se la gioca alla pari con le fatiche di gruppi americani o inglesi senza troppi patemi. Concepito in due settimane, testimonia un momento creativo cruciale per il gruppo, ormai con tutti i requisiti per imporsi in giro per il mondo. Da marzo infatti, partirà quello che potrebbe essere il loro neverending tour: Italia, Europa, Usa, Canada e Giappone. The Dawn guarda ai The Coral più bucolici e tradizionalisti, all'indie delle Dum Dum Girls, al brit dei The La's _ tanto per fare qualche nome _ proponendo il tutto in maniera autonoma e personale, senza inutili dispersioni. La cantante Astrid evoca le 4 Non Blondes di Linda Perry in Quack, bypassando il pericolo di una stantia seduta spiritica. Ancora lei in Little Boy rilancia le intuizioni revival country/mainstream di Lilly Allen e della sua Not Fair. La strumentale Lazy Tide, con i suoi riverberi introduce alla conclusiva In Rainbow. Il brano si chiude sulle note di una musica da circo, finito lo spettacolo, arrivano i titoli di coda su un lp leggero un prodotto intelligente e ben calibrato.