mercoledì 30 novembre 2011

Ryan Adams: Ashes & Fire

Stavolta Ryan Adams è riuscito a mettere d'accordo la critica di mezzo mondo: Ashes & Fire è il disco in cui, una volta per tutte si riappropria di se stesso; il disco della misura, della moderazione, il disco da cui ripartire e perché no _ da collocare, su un ideale podio, con il meglio del suo catalogo _ dietro a Heartbreaker e subito dopo Gold. Ashes & Fire è _ stando alle valutazioni di gran parte della stampa specializzata _ la sintesi di un percorso di purificazione. di sobrietà chimica e musicale: lasciate (per ora) alle spalle dipendenze varie, Adams è riuscito a stare lontano quel che basta anche dagli studi di registrazione. Cosa non da poco per un artista "bulimico" come lui, capace di sfornare dischi ad una media impressionante. Avesse amministrato meglio la propria carriera, avesse lavorato più sulla qualità e meno sulla quantità, staremmo parlando di un peso massimo, purtroppo non è andata così. Ritrovato l'equilibrio (anche) nel fare musica Adams ha confezionato un piccolo capolavoro. Una persona diversa insomma: potrebbe essere il Boss di Nebraska a suonare l'armonica nella title track. Till I Found You spazza via il sentore di filler che caratterizzava la recente produzione dell'ex Wiskeytown (su tutti i brani di Cardinology), mentre Do I Wait _ "canonica" balladcoutry/rock _ ne conferma le indiscutibili doti interpretative, capaci, in momenti come questi, di fare la differenza tra un buon pezzo e una gran bella canzone. Un gradito ritorno.

giovedì 24 novembre 2011

Kasabian: Live@Alcatraz

Non sono mostri di tecnica... e allora? Il virtuosimso tout-court conta poco si ha a disposizione un nutrito carnet di grandi canzoni dalle quali attingere per deliziare il pubblico. Nella data milanese di domenica i Kasabian hanno "bastardizzato" ancora una volta, con robuste dosi di pop e qualche inserto elettronico l'attitude che fu già dei Primal Scream. Un filone aureo che vede nel gruppo di Lsf l'ultima trasposizione, la più cruda e cinica. Raw Power direbbero i fan degli Stooges. Saliti sul palco davanti ad un Alcatraz sold out (da settimane) sfoderano subito l'ultimo singolo scala classifiche, Days Are Forgotten. Neanche il tempo di riprendersi che parte la botta di Shoot The Runner: da qui in avanti, e parliamo del secondo brano in scaletta, il pubblico è nel mondo dei balocchi. Nelle mani di Serge Pizzorno il detonatore per scatenare, a colpi di riff. la platea in visibilio. Vlad The Impaler, ad esempio è una brutta bestia ma funziona paurosamente bene a partide da quel riff che si ripete nervosamente e che è la struttura portante del brano. Nella scaletta non sono mancati nemmeno alcuni estratti dall'ultimo Velociraptor!: oltre alla title track, Re-Wired ha retto bene il confrontoclassiconi della band d'Albione. Novità di quest'ultimo tour il medley transgenico tra il rock'n roll di Fast Fuse (la versione aggiornata di Train Kept a Rollin' degli Yardbirds) e il main theme di Pulp Fiction. Alternatosi con Pizzorno, Tom Meighan (sospettosamente "euforico") non rimane fermo un secondo, muovendosi come un ossesso e incitando a più riprese con un explicit lyrics il pubblico a fare casino (Show me your f...g hands!). Oltre all'accenno dell'inno di Mameli, rimarrà sempre impressa Club Foot, uno dei migliori singoli degli ultimi anni. Lsf chiude la prima parte del concerto, mentre Fire segna la fine dei bis. Ancora una volta la band è in stato di grazia, dimostrando come la dimensione dei club sia per loro la più naturale.

sabato 19 novembre 2011

Suede: The Beautiful Ones

sabato 12 novembre 2011

Noel Gallagher's High Flying Birds

Quel colpo di tosse, all'inizio di Everybody's on the run, riporta all'identico "stratagemma" inserito in apertura di Wonderwall (un "intro" che deve piacere molto al più grande dei Gallagher), spiana la strada alla batteria e soprattutto a quella sezione d'archi che, assieme ad un coro sontuoso, costituisce l'esempio della perfetta pop song. Sullo sfondo qualche accordo d'acustica, testimonianza della scarna versione del pezzo che circolava da un paio d'anni su You Tube. Al netto delle speculazioni sui "fratelli coltelli" del brit pop, questo disco è, per scrittura e complessità, avanti anni luce rispetto al pur apprezzabile debutto dei Beady Eye. D'altronde Stand By Me, The Masterplan e Live Forever le ha scritte lui, mentre Liam "creava" Little James. Forse ci sono un paio di filler, ma nel complesso l'album viaggia su livelli altissimi. Alcune "gemme" risalgono ad anni fa, penso a I Wanna live in a dream (In my record machine), dichiarazione d'intenti _ scritta nei giorni tesi con i vecchi compagni d'avventura _ per ritrovare ispirazione ( I wanna piece of the world inside and everyone inside my mouth) e quella genuina voglia di musica, di rimettersi in gioco che sembrava sacrificata al posto di una tranquilla routine rock'n roll. Il mood dei pezzi non può non ricordare gli Oasis ( la pregevole The Death of you and me è un "autoplagio" di The Importance of being idle), ovviamente, ma qui ci sono sfumature diverse: richiami ai Kinks dei fratelli Davies, e al Paul Weller Solista. Il debutto in solitaria di Noel si chiude con la splendida Stop the clocks, "mitologico" pezzo perduto negli archivi che regala un ultimo brivido a tutti i fan degli Oasis.

venerdì 11 novembre 2011

11/11/11


11/11/11

giovedì 10 novembre 2011

Ma quanto son fighi i dee jay set di Andy Bell?

B.E. by Beady Eye Music on Mixcloud


Andy Bell: "We made a mixtape of music to get us ready to go onstage and we play it in the venue every night, after the support band have come off, so that band and audience are all on the same page by the time we come on stage. It starts at the rock and roll era with Link Wray and loosely follows the thread of time and some of our influences. The tape ends with the The Stone Roses 'I Am The Resurrection', which brings us up to date with the time when most of us in the band started making music. We've used this mix at every gig we've ever done, and it immediately became a part of the proceedings. If we are sitting backstage and hear the crowd are in good voice we know it's going to be a good night."

mercoledì 9 novembre 2011

This one is really great!

lunedì 7 novembre 2011

Wilco: The Whole Love

One Sunday Morning è il link al recente passato, l'omonimo album del 2009, tutto il resto invece si ricollega al lato più sperimentale dei Wilco. Di questo è fatto l'ultimo lavoro licenziato da Jeff Tweedy e dai suoi compagni d'avventura che hanno deliberatamente messo in minoranza il classic rock delle ultime prove, trasformandolo in uno sperimentalismo che rielabora e ricorda per certi aspetti i Radiohead : Art of Almost è un ossimoro tra il classicismo che lotta per non farsi affogare in quel mare di synth e campionamenti esplorato, in modo più estremo, dalla band di Yorke già ai tempi di Kid A; poi dal nulla arriva lo squarcio di un assolo di chitarra a scompigliare le carte, a imporsi in zona cesarini. Il ricorso all'elettronica rappresenta in definitiva, l'occasione più facile del mondo per “variare sul tema” della classica rock song americana, fonte del sound della band. The Whole Love è il lifting che serviva ai Wilco per non ripetersi, per continuare ad evolversi, anche se logicamente è molto più accessibile ed immediato rispetto ad ogni pezzo cantato da Yorke: Tweedy cerca l'invenzione nella costruzione degli arrangiamenti trasformando le melodie in piccoli gioielli che citano tutti e nessuno, ora i Beatles (Capitol City con le voci in sottofondo, e quegli effettini che fanno molto Sg.Pepper 2.0) ora Bowie, con piccoli inserti “sintetici”, predominanti solo nel pezzo d'apertura. Ribadisco: non è un disco elettronico, semmai un lavoro utile a mischiare le carte nella loro discografia, il fratello educato e composto di quel gioiello che risponde al nome di Yankee Hotel Foxtrot.