giovedì 23 settembre 2010

The Charlatans: Who We Touch

Sono pochi secondi di caos ad introdurre Love is Ending, primo pezzo di Who We Touch, ennesima fatica di una band sulle scene ormai da vent'anni. Un brano dalle forti similitudini con gli ultimi Primal Scream, quelli di Beautiful Future, nato da un riff secco e descrizione perfetta dell'inesorabile fine di una storia d'amore alla quale subentra un freddo senso di indifferenza (Stop pretending, love is ending. Am I trying? Day after day, you make me feel this way). Con My Foolish Pride, ballad nel solco degli Smiths, il cantante Tim Burgess si calma e sfodera liriche più concilianti (Let's make love not war, can't take this no more). Your Pure Soul partendo chitarra e voce si smarca dal cliché nobilitandosi grazie ad un bell'arrangiamento d'archi con rimandi al primo Paul Weller solista. Con la "madchesteriana" Smash The System si completa il poker d'assi di un album che, se si fermasse alla quarta traccia, sarebbe _con ogni probabilità_ un piccolo capolavoro. Anche qui: violini nel chours, e un riff che si ripete per tutta la durata della canzone, l'indizio più esplicito del loro passato nel filone aureo del Brit Pop. Spiace per Sincerity, poco più di una dichiarazione d'intenti mentre Trust in Desire strizza l'occhio agli U2, la successiva Oh! rievoca il fantasma di Barret. You Can Swim si appresta ad archiviare oniricamente un disco che termina _così come era iniziato_ con una sorpesa: una ghost track con "l'ospitata" di Penny Rimbaud, anarco punk degli anni '70 il quale, invece di cantare interpeta I Sign The Body Eclectic. Nel lotto anche un cd con demo e outtake, utile per comprendere l'evoluzione del processo creativo.

martedì 21 settembre 2010

Let's Maidenize again: free track!

Harris e soci regalano Eldorado traccia del nuovo The Final Frontier. Qui il link http://www.ironmaiden.com/download/. Poi c'è anche un videogame da arcade anni '80 (Somewhere back in time...) http://www.thefinalfrontiergame.com/
Up the Irons (as usual)!!!

venerdì 17 settembre 2010

AC/DC: Back in Black

Back in Black ha convinto qualcosa come 50 milioni di persone, certe che il primo disco del dopo Scott meritasse più di una chanche. Era il 1980, gli australiani con la dipartita del co-fondatore perdevano tragicamente non solo uno dei migliori cantanti in circolazione, ma anche un compagno di bisbocce e un fratello. Dopo qualche tempo la scelta del sostituto è caduta sul vocalist dei Geordie Brian Johnson, più disciplinato del predecessore ma dallo stile altrettanto graffiante. "There was fifteen million fingers learnin' how to play and you could hear the fingers pickin' and this is what they had to say sound drums guitar, let there be rock let there be rock 'n' roll." Col senno di poi queste liriche, estrapolate da una loro canzone di qualche anno prima (Let There Be Rock appunto) descrivono bene l'effetto indotto da Back in Black su un'intera generazione di rocker. 10 pezzi al fulmicotone, per quello che, a conti fatti, è l'apice della loro lunga carriera discografica. Si parte con la tetra Hell's Bells, riassunto delle puntate precedenti e ponte con il recente (e drammatico) passato. I rintocchi funerei delle campane piano piano fanno spazio a chitarra, batteria e basso... un giro semplice che si protrae per un minuto e mezzo prima che arrivi Johnson con la sua voce rauca e stridula. Angus Young si supera ancora una volta con un solo strutturato e molto espressivo, sorretto da una sezione ritmica poderosa e puntuale. Shoot to Thrill, quintessenza del rock esalta le doti del batterista Phil Rudd e introduce il terzo gioiellino What Do You Do For The Money Honey, ottimo hard blues alla pari di Rock'n'Roll Noise Pollution o di Let Me Put My Love Into You. Quasi superfluo parlare della title track, celebre riff e punta di diamante del disco più venduto di sempre dopo Thriller di Michael Jackson.

mercoledì 15 settembre 2010

The Charlatans: Just lookin'



The Charlatans were inspirational. Perfect music.

martedì 14 settembre 2010

Per i colli bolognesi

Fine estate coi fiocchi all'Estragon grazie alla fitta serie di concerti del Summer Festival (26 agosto/20 settembre). Dopo Baustelle, The Field e il live dei Blonde Redhead, stasera si torna al rock italiano con i Tre Allegri Ragazzi Morti, la band di Davide Toffolo, disegnatore Marvel, che ha arricchito il proprio linguaggio con suoni giamaicani ed africani nell'ultimo disco Primitivi dal futuro. Il dub reggae sarà al centro della scena domani con i Dub Pistols: elettro funk, ska, soul e hip hop dalla terra d'Albione. Giovedì 16 ritornano in Italia i canadesi Real Mckenzies alfieri del celtic punk (per loro apriranno i connazionali Mahones) e pronti ad infiammare il pubblico come per il concerto primaverile al Tom, uno dei migliori dell'annata al locale virgiliano. Agli antipodi rispetto al sound acustico esibito dai Nouvelle Vague (in calendario per venerdì 17) in 3, album figlio della rilettura inaspettata e splendidamente pop di brani punk rock e new wave. Il tour di reunion dei 99 Posse farà tappa anche a Bologna sabato prossimo (18). Chiusura col botto domenica 19 con il Rock Hard Festival: un appuntamento da non perdere per gli appassionati del metallo in tutte le sue sfumature. Nel cast alcuni tra i migliori interpreti a livello internazionale e tra le più significative realtà nostrane: Sodom, Grave Digger, Exciter, Tygers Of Pan Tang, Strana Officina (band livornese istiuzione del metal italiano_ per loro una acclamata partecipazione al Pegorock_) Gama Bomb, Rain, Elvenking, Irreverence e Malnatt.

sabato 11 settembre 2010

Volti nuovi al Bar Sport.

mercoledì 8 settembre 2010

Mark Lanegan & Isobel Campbell: Hawk

Hawk terza prova dell'affermato (e sulla carta ancora un pò azzardato) duo Lanegan Campbell è un disco squisitamente americano. Qualcuno la potrebbe anche definire roots music, l'ennesimo step nella marcia di avvinamento dell'ex Screaming Trees ai grandi cui si spira ora (Tom Waits su tutti). Ricostruire le tappe musicali di Lanegan (Screaming Trees, QOTSA, Soulsawers, The Gutter Twins....) richiederebbe tempo e fiumi d'inchiostro: con il rischio di sembrare frettolosi ci limitiamo a dire che da solo o in gruppo non ha mai sbagliato un colpo nemmeno quando ha deciso (a partire dal primo disco solista) di virare pian piano dal meraviglioso rock di Sweet Oblivion verso sonorità meno immediate e più dark/bluesy. Nei pezzi di Hawk il percorso si completa ancora arricchendosi di sfumature talvolta nuove per lui. Pezzi firmati quasi esclusivamente dall'ex Belle & Sebastian, che ha avuto un ruolo di primo piano nella scelta degli arrangiamenti e del mood complessivo del disco. Sempre lui, non ha scritto o composto lo straccio di un testo o una musica, l'unica cosa che ha fatto _e bene_ è stata l'aver firmato quelle canzoni con la sua voce, sempre più avvolgente e simile a quella dell'altro (Waits). We die and see the beauty again è una falsa partenza, con le due voci che si studiano e riprendono il filo del discorso. Meglio You won't let me down again (dove suona l'ex Pumpkin Iha), ode oscura all'irrequietezza e invito a viaggiare senza una meta precisa, effettivamente calza come un guanto al personaggio. Lately è un soul arioso, Snake song ricorda i Brmc acustici, Come undone _nella quale si gioca ancora sul duetto tra i due è una bella sorpresa tra Chess Records e Motown. Get behind me omaggia il primo Dylan elettrico, quello che voltò le spalle ai puristi del blues. Eyes of green che si regge su un arrangiamento di violini è uno standard country. In mezzo a questa miriade di citazioni più di Campbell (ormai una rodata autrice) fa la differenza Lanegan, il cantante "pop" del futuro.

lunedì 6 settembre 2010

Viadana Open Air

-Gavetta Estremeamente Metallica-
Raggiunte le 800 presenze. Non male per aver fatto tutto da soli e considerando il fatto che stiamo parlando di un festival metal organizzato a Viadana, non proprio l'epicentro della scena. Eppure, alla “periferia dell'impero” un gruppo di ragazzi della zona ha dato vita ad una associazione culturale chiamata Wrath of Metal, regia dell'evento di fine estate che ha visto, ad una settimana dal Watchout (festival di musica alternativa) centinaia di appassionati del genere recarsi nello spazio Arena. Si, perché come ribadito dagli organizzatori Davide Cacciamani e Alessandro Zarotti è arrivato un pullman anche da Roma (predisposto dal collaborare capitolino Davide Celli per la A.L. Agency) con molti fan che si sono goduti la tre giorni di concerti. In definitiva il Viadana Open Air è stato il giusto connubio tra nuove leve e pesi massimi del genere, nomi grossi che, nonostante una esperienza a livello internazionale hanno constatato ed appurato l'efficienza dell'organizzazione. Vision Divine e Blod Red Throne (metalloni splatteroni) non sono certo gli ultimi arrivati. Accanto a loro flotte di band a rappresentare le diverse ramificazioni del genere. Venerdì 27 è toccato a Handful of Hate, Subliminal Crusher, Acquefrigide, Symbolyc, Damned Spring Fragantia, Forgotten Land, Arges, As The Monster Becomes e Sadist. Altro filotto di gruppi anche sabato 28 con Flashgod Apocalypse, The Modern Age Slavery, Doomraiser, Fomento, Endless Pain, Nemesis Inferi, Hatred, The Hanged. Impeccabile la performance dei Blood Red Throne headliner di giornata, cult band norvegese che si è concessa una data a Viadana prima di un concerto in Messico. Chiusura col botto domenica 29 con Krampus, Nocturna Pit, Vehement, Disease Illusion, Furor Gallico, Draugr, Folk Stone e Vision Divine, una realtà power metal che dal bel paese ha saputo farsi strada tra gli appassionati del genere in tutto il mondo.



Nelle foto piccole i Folkstone, qui sopra i Draugr.

giovedì 2 settembre 2010

Led Zeppelin III

Led Zeppelin III ambiva ad essere perfetto, esattamente come il rispettivo numero di serie, che ha accompagnato di volta in volta _per 4 uscite_ altrettanti dischi eccellenti a partire dal debutto del 1969. Led Zeppelin III, penultimo capitolo della saga, è stato il preambolo per il maestoso number 4 (quello con Stairway to Heaven) o "Zoso" come lo avrebbero ribattezzato poi i fan più accaniti del dirigibile. Messa in secondo piano la sua Gibson Jimmy Page e soci _in cerca di ispirazione per il nuovo album_ si sono barricati in un cottage del Galles, nelle sperdute campagne di Bron-Y-Aur. Per superare Whole Lotta Love e The Lemon Song, per superare quegli immortali riff servivano trame folk, dolci e suadenti. Inaspettate. Ecco, il valore di questo album risiede nell'aver dimostrato di avere un altro linguaggio, se vogliamo una marcia in più rispetto all'illustre concorrenza del periodo (Black Sabbath e Deep Purple). Melodie liquide, nelle quali le chitarre assecondano la voce di Robert Plant (che sul numero di questo mese del magazine inglese Mojo ha definito troppo stressante il concerto reunion all'arena O2 di Londra, mettendo di fatto la parola fine a velleitari tour d'addio) qui più sussurrata che in altri episodi della loro discografia. Più del divertissement di Bron-Y-Aur Stomp (un country old school) si lascia ricordare Tangerine con la sua falsa partenza e la seguente That's The Way, mentre Friends contiene spunti orchestrali che saranno approfonditi in Physical Graffiti. Hats of to (Roy) Harper (omaggio ad un vecchio chitarrista idolo della band) va collocata nella casella degli esperimenti, con Page che sfregia le corde del proprio strumento e la voce di Plant, effettata, da un altro pianeta. Decenni dopo un'altro Harper (Ben) prenderà appunti di stile, ispirazione e tecnica. Il rock rimane sottotraccia e affiora in pezzi storici come Immigrant Song e Celebration Day , brani più calibrati rispetto alle vecchie hit al fulmicotone. Out On Tiles rinvigorisce l'anima "heavy" del disco, anticipata dal più languido blues della prima vita degli Zeppelin: Since I've been loving You.