domenica 26 dicembre 2010

Beady Eye: Four Letter Word

-La nuova di Liam & soci spacca-


Sleepwalk away the life
If that turns you on
It’s only a moment
Walk away and it’s gone


It’s about time
That your mind took a holiday
You’re all grown up
Don’t you ever wanna play?

You’ve had enough
Staring out of those dead end eyes
It’s gonna be tough
The battle’s on and there’s always a prize

I don’t know what it is I’m feeling
A four letter word really get’s my meaning
Nothing ever lasts forever...

sabato 25 dicembre 2010

Bad Santa: il vero film di Natale



mercoledì 22 dicembre 2010

Kid Rock: Born Free

La metamorfosi è compiuta: Kid Rock, quello caciarone in canottiera bianca e catenoni, quello del new metal non c'è più. Arrivato a 40 anni ha smesso di essere la caricatura di se stesso preferendo smarcarsi da un genere che gli ha dato si notorietà ma che non sentiva più suo per ovvi motivi anagrafici e soprattutto artistici. Ci aveva provato un paio di anni fa _con buoni risultati_ in Rock 'n roll Jesus, l'album di Hold On e della hit estiva All Summer Long (la rivisitazione di Sweet Home Alabama dei Lynyrd Skynyrd) ora lo ribadisce da subito, quasi a voler mettere le mani avanti, con il titolo della sua ultima fatica in studio: Born Free. Dietro al mixer il producer Rick Rubin, mago nel rivitalizzare carriere in declino o perlomeno in stasi creativa. Ancora una volta centra l'obiettivo cucendo su misura un abito da country rocker al suo assistito. Si, non ci sono scratch, ne chitarre distorte ma canzoni dall'appeal radiofonico. Southern rock, quello dei Lynyrd di cui sopra ma anche di mostri sacri del calibro di Allman Brothers o degli ultimi Black Crowes. Date le coordinate di riferimento è quasi scontato dire che il confronto artistico non sussiste tra i padrini di un genere e chi vivacchia, seppur bene, di rendita come Mr. Rock. Un nuovo duetto con Sheryl Crow (ma meno efficace del primo Picture di alcuni anni fa) cui ha partecipato Bob Seger al piano si unisce all'ospitata di Care (con Martina McBride e il rapper T.I). Se anche Rock Bottom Blues (con un solo che ammorbidisce lo stile di un certo Muddy Waters) e Rock On a dispetto del titolo indugiano in malinconiche atmosfere da looser allora è evidente che il nostro con questo lavoro intriso di acustiche stratificate ha intrapreso un cammino di non ritorno verso sonorità roots. In una frase estrapolata da uno dei brani di Born Free c'è l'essenza del personaggio che, c'è da scommetterci, non ha affatto l'intenzione di accontentare i vecchi fan delusi da questa svolta artistica "It feels good to me now, I hope it feels good to you": della serie "prendere o lasciare". D'altronde si sa... il lupo perde il pelo ma non in vizio. Second life.

martedì 21 dicembre 2010

Jamiroquai: Rock Dust Light Star

Alla fine gli ingredienti sono sempre quelli: acid jazz, disco anni '70, un pizzico di rock e tanto tanto funk. Impossibile sbagliare con Jay Kay e i suoi Jamiroquai. Certo, dopo avere ascoltato l' ultima fatica in studio (la settima a quasi vent'anni da un esordio che fece gridare al miracolo la critica di mezzo mondo) non possiamo parlare di capolavoro, ma più ragionevolmente ( e cosa non da poco) di un disco ben fatto e strutturato, parole difficilmente spendibili al giorno d'oggi considerando cosa offre il mercato discografico. Cinque anni dopo Dynamite i nostri tornano in sella e scaldano i motori: si parte bene con il rock della title track cui segue l'opener single White Knuckle Ride, una canzone geneticamente modificata per il dancefloor. Farà di meglio All Good in The Hood, quarto pezzo in scaletta, che si apre con un basso poderoso, debitore della geniale linea melodica di Another one Bite The Dust dei Queen. Però è quando si allontana dal filone funk che questo Lp regala i momenti migliori: Hurtin, ad esempio rimane impressa per il suo cantato sommesso al limite della svogliatezza del frontman e per una chitarra che si diverte a giocare con il wah wah ed altri effetti vintage. Poi c'è la suadente ballad Blue Skies con le sue atomsfere soul, probabilemte tra le migliori canzoni mai licenziate dalla formazione cui spetta il compito di inaugurare la sezione soul dell'album (pensata studiando a fondo la discografia della Motown) che prosegue con gli ottoni di Lifeline, e il gusto sixties di Two Completely Different Things.

sabato 18 dicembre 2010

Badly Drawn Boy: It's What I'm Thinking...

Nelle ultime prove si era un po perso questo “ragazzo disegnato male”, ora con questo It's what I'm thinking Pt.1-Photographing Snowflakes si deve registrare una parziale inversione di tendenza: seppur lontana dagli alti standard qualitativi raggiunti da The Hour of Biwilderbeast (il vero esordio uscito nel 2000) il nostro torna in carreggiata dopo la parentesi un po deludente (almeno dal punto di vista prettamente commerciale) su major. L'album inizia in sordina con il malinconico arpeggio di Safe Hands su cui si appoggia la voce effettata di Badly che poco dopo, si giocherà subito il jolly con il terzo pezzo in scaletta: Too Many Miracles, non a caso il primo singolo estratto, infarcita di rimandi al sound dell'ultimo Morrisey. Piano, archi e l'acustica del cantante costituiscono l'ossatura della successiva What tomorrow brings, piccolo gioiello folk/pop dal grande respiro armonico. La title track _piuttosto lunga_ apre un filotto di canzoni poco a fuoco e meno interessanti a livello compositivo, l'ipotesi che ci siano un paio di filler si trasformerà in certezza in A pure accident. Fortunatamente BDB si riprende e con un colpo di reni riesce a ritrovare in zona cesarini (This electric) lo smalto con cui ha aperto l'album. In definitiva abbiamo tra le mani un lavoro che può essere visto come la trasposizione su piccola scala della sua carriera che, partita con promettenti ep autoprodotti e arrivata presto a unanimi riscontri di critica stava rischiando di assomigliare troppo a quella di colleghi meno ispirati e dotati di questo artista. Ecco perché It's what... va accolto bene, perché è il ritorno a casa di un bravo songwriter, probabilmente non più ossessionato di bissare il successo ottenuto con i brani inseriti nella soundtrack di About a Boy film con Hugh Grant tratto dal meraviglioso romanzo di Nick Hornby.

martedì 14 dicembre 2010

A Milano la mostra su Mick Jagger: ci andrò

-Sino al 13 febbraio alla Fondazione Forma in Piazza Tito Lucrezio Caro 1-
A differenza di quello che credono in molti gli Stones in questo 2010 non sono stati con le mani in mano: certo, Jagger e soci non si sono imbarcati in nessun nuovo mastodontico tour planetario, ma hanno comunque concesso ai fans qualche “diversivo” per ingannare l'attesa prima del grande ritorno. Le recenti novità di cui sopra in casa Glimmer Twins sono molte, su tutte la ripubblicazione del capolavoro del 1972 Exile On Main Street. Il disco più americano del gruppo, un doppio Lp imbevuto di roots rock, southern e country, croce e delizia delle pietre rotolanti con Jagger da una parte a criticarne il missaggio (lo definì pessimo) e Richards dall'altra a difenderlo a spada tratta. Infatti era il disco più vicino all'indole del chitarrista, non solo perché registrato nella sua villa in Costa Azzurra (la band scappò dalla Gran Bretagna per sfuggire da un fisco predatore) ma perché Richards riuscì ad imprimergli qui come non mai la propria sensibilità artistica: un album suo, nel bene e nel male, registrato a singhiozzo tra le mille difficoltà legate all'abuso di droghe, disciplina in cui “Keef” eccelleva. Il dvd documentario Stones in Exile, uscito da poco, è li a ricordarci i momenti più alti della migliore rock band di sempre; poi ci sono le riflessioni di Mr.Richards nella sua autobiografia Life uscita le scorse settimane. Per par condicio anche i fan del cantante di Brown Sugar avranno di che gioire: il 2 dicembre apre alla fondazione Forma di Milano "Mick Jagger. The photobook", ovvero la retrospettiva dedicata al leader dei Rolling Stones. Sono 70 gli scatti che immortalano il frontman del gruppo nel corso della sua carriera, dagli esordi nella Swinging London ai fasti degli anni '70 (e quindi anche al tormentato periodo di Exile) passando attraverso il ritorno sulle scene verso la fine degli anni '80 delle Pietre Rotolanti dopo 4 anni di pausa (che ai tempi sembravano definitivi). Le foto raccolte nella rassegna scavano tra le rughe del suo volto profonde come canyon per capire l'artista e prima ancora l'uomo. Così François Hébel, direttore del festival Rencontres d’Arles _dove ha esordito la mostra_ ne spiega l'essenza. “La raccolta di queste immagini è prima di tutto un progetto fotografico. Non è solo la carriera di Mick Jagger ad essere raccontata ma la storia di 50 anni di ritratto, dove la fisicità e la notorietà di un volto sono una sfida che spinge gli autori a rappresentarlo andando oltre la semplice documentazione. Attraverso gli scatti dei più importanti fotografi (Goodwin, Mankowitz, Périer, Cecil Beaton, Annie Leibovitz, Karl Lagerfeld, Anton Corbijn, Mark Seliger e Bryan Adams) si può assistere alla nascita di quel legame, ormai indissolubile, che unisce personaggio e immagine”. La mostra (chiusa al lunedì) sarà aperta al pubblico tutti i giorni dalle 10 alle 20 e al giovedì e venerdì dalle 10 alle 22. Il biglietto intero costa 7.5 euro e 6 in riduzione. Per info 02.5811.8067.

giovedì 9 dicembre 2010

Bad Religion: The Dissent of Man

Prendete un pezzo qualsiasi estrapolato da The Dissent of Man, per esempio The Devil in Stitches per capire che aria tira in casa Bad Religion oggi: la band è in forma, felice per i tanti successi maturati in 30 anni di carriera e più matura e consapevole anche grazie a sporadiche battute a vuoto (il riferimento è allo scialbo disco del 200 licenziato da Sony e intitolato The New America) che in prospettiva hanno fatto solo bene. Esattamente come l'approdo nella scuderia della Epitaph, label che ha fatto grande il punk rock negli anni '90. E qui i meriti "del ritorno a casa nella dimensione più congeniale per questa band californiana sono tutti per Brett Gurewitz compositore della band, chitarrista e apprezzato produttore discografico che in passato ha collaborato con Nofx, Millencolin e Rancid, nomi grossi. A voler fare le punte agli spilli dopo l'ascolto dell'ennesima fatica della formazione americana si potrebbe dire che rispetto all'immediato passato di New Maps of Hell forse si è perso un pizzico di mordente, sacrificato in nome di una varietà più marcata. Per carità, il ritmo è sempre protagonista in ogni passaggio del disco e non si può certo parlare di appannamento, visto che a momenti più "leggeri" si alternano le consuete bordate (The Resist Stance) cui questi padrini dell'hardcore melodico ci hanno abituato da lustri ormai. Nonostante l'abuso che il punk ha fatto del concetto di rivolta e ribellione i Bad Religion riescono a instillare il concetto negli ascoltatori in maniera sincera, dimostrando come il loro non sia mestiere ma una passione autentica al 100%, vedi Someone to Believe. Niente di nuovo sotto il sole della California: solo la certezza, confermata dall'ascolto di questo disco, di avere tra le mani un prodotto sincero, immediato e assolutamente vero, che non fa mistero dei suoi difetti ma piuttosto li tramuta in punti di forza.

mercoledì 8 dicembre 2010

Beady Eye: Different Gear, Still Speeding

L'album di debutto dei Beady Eye arriverà nei negozi di dischi il 28 febbraio 2011e si intitolerà Different Gear, Still Speeding. La band è formata da Liam Gallagher, Gem Archer, Andy Bell e Chris Sharrock; durante il tour sarà supportata alle tastiere da Matt Jones e al basso da Jeff Woottoon. Tra i titoli delle canzoni inserite nella tracklist promettono bene Beatles and the Stones e Standing on the Edge of the Noise. Ecco gli altri pezzi: Four Letter Word, Millionaire, The Roller, Wind Up Dream, Bring The Light, For Anyone, Kill For A Dream, Wigwam, Three Ring Circus, The Beat Goes On e The Morning Son.

venerdì 3 dicembre 2010

A Perfect Circle: Mer De Noms

Da quando sono usciti con il primo album non si contano i tentativi di imitazione per gli A Perfect Circle cult band capitanata da James Maynard Keenan (già voce nei Tool) e dal chitarrista Billy Howerdel, unici punti fissi del progetto. Sono bastati due dischi di pezzi propri, seguiti da eMOTIVE _cover album del 2004_ per conferire al gruppo un'immagine quasi salvifica nel panorama di certo alternative rock. Mer De Noms è stato il biglietto da visita di una band amatissima, il cui ritorno dal vivo con il comeback tour di questi mesi è li a dimostrarlo, con molte date sold out da un pezzo. In ogni città gli A Perfect Circle suoneranno interamente i loro tre album pubblicati, uno a sera. D'altronde, si sa... J.M.Keenan è un perfezionista che vuole , accontentare un po tutti, in primis se stesso, ecco perché ha scelto ambienti di piccole e medie dimensioni per tornare on stage: “le locations di questi show _ha detto il cantante alla vigilia del rientro in una intervista a Rolling Stone America_ saranno piuttosto intime e raccolte, solo noi sul palco per ritrovare la vecchia alchimia.” Un feeling nato dall'ottimo Mer de Noms, disco che vede subentrare un finale più rilassato e rarefatto a una parte iniziale più decisa e altrettanto complessa. Infatti sono tante le stratificazioni sonore dell'album, che cresce con gli ascolti e capace ogni volta di offrire particolari nuovi e inediti, sottigliezze che riflettono un grande sforzo non solo a livello compositivo ma anche in fase di registrazione. Brena ne è l'esempio più lampante: apparentemente semplice rivela un lavoro di sintesi e sottrazione notevole, specialmente nelle parti di batteria, vivaci e mai banali che costituiscono l'asse portante dietro cui si sviluppano le intricate trame chitarristiche del pezzo. Thomas si avvicina al grunge, riveduto e corretto con piccole contaminazioni elettroniche. Il punto più alto dell'album, più che il singolo Judith, brano robusto dove questo all star team (completo dalla bassista ex Zwan Paz Lenchantin, da Troy Van Leeuwen chitarrista dei Queens of The Stone Age e dal drummer dei Vandals Josh Freese) mostra i muscoli, lo regala la hit 3 Libras.