martedì 21 dicembre 2010

Jamiroquai: Rock Dust Light Star

Alla fine gli ingredienti sono sempre quelli: acid jazz, disco anni '70, un pizzico di rock e tanto tanto funk. Impossibile sbagliare con Jay Kay e i suoi Jamiroquai. Certo, dopo avere ascoltato l' ultima fatica in studio (la settima a quasi vent'anni da un esordio che fece gridare al miracolo la critica di mezzo mondo) non possiamo parlare di capolavoro, ma più ragionevolmente ( e cosa non da poco) di un disco ben fatto e strutturato, parole difficilmente spendibili al giorno d'oggi considerando cosa offre il mercato discografico. Cinque anni dopo Dynamite i nostri tornano in sella e scaldano i motori: si parte bene con il rock della title track cui segue l'opener single White Knuckle Ride, una canzone geneticamente modificata per il dancefloor. Farà di meglio All Good in The Hood, quarto pezzo in scaletta, che si apre con un basso poderoso, debitore della geniale linea melodica di Another one Bite The Dust dei Queen. Però è quando si allontana dal filone funk che questo Lp regala i momenti migliori: Hurtin, ad esempio rimane impressa per il suo cantato sommesso al limite della svogliatezza del frontman e per una chitarra che si diverte a giocare con il wah wah ed altri effetti vintage. Poi c'è la suadente ballad Blue Skies con le sue atomsfere soul, probabilemte tra le migliori canzoni mai licenziate dalla formazione cui spetta il compito di inaugurare la sezione soul dell'album (pensata studiando a fondo la discografia della Motown) che prosegue con gli ottoni di Lifeline, e il gusto sixties di Two Completely Different Things.

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