giovedì 5 settembre 2013

Arctic Monkeys: AM

La storia è nota, prima il tam tam mediatico, il passaparola tra i fan sul web, poi un'attesa smisurata e al tempo del debutto, nel 2006 il botto: una vagonata di dischi venduti con Whatever People Say That's What I'm Not. Una bella rosicata per detrattori della prima ora, per chi riteneva i ragazzi di Sheffield solo un'anonima cover band degli Strokes. Fortunatamente i giorni di apprendistato/tributo finirono presto, per la gioia dell'indie albionico. Del brit pop vorticoso dell'inizio, questo AM conserva lo spirito, ovviamente contestualizzandolo ad un presente in cui i nostri sono _ finalmente _ padroni della materia a 360°. Potremmo paragonare la carriera delle Scimmie a quella di un pugile: l'esordio irruento favorito dall'effetto sorpresa, poi qualche battuta a vuoto (Favorite Worst Nightmare), la risalita, con un nuovo mentore (Josh Homme) e una dieta muscolare a pane e stoner che ha dato i suoi frutti desertico/psichedelici (Humburg e il successivo Suck It and See). Ora al quinto album gli Arctic Monkeys sono pronti per il assestare il colpo del ko. La missione riesce praticamente subito, bastano i 3' fuzzy di R U Mine? Un signor singolo. Dal punto di vista della produzione tout court non ci sono appunti da fare. In grande spolvero la vena compositiva di Turner, sempre più one man band. Gradevolissima la lennoniana No.1 Party Anthem. Sopravvissuti _ con intelligenza _ a gran parte dei colleghi in quella scena (indie)finita, hanno imbastardito con una vena brit/retrò alla Pretty Things (nel contestato video della tossica Why'd you only call me when you're high) il sound del desert rock (I want it all). Sembrerebbe quasi blasfemo unire i QOSTA ad Elton John (Snap out of It), ma l'esperimento funziona (come testato dai diretti interessati) e dopo Cornerstone (due album fa) con Mad Sounds Turner si candida a novello Weller. Infine il congedo con I Wanna Be Yours, quasi un omaggio ai Last Shadow Puppets. Può bastare?

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