
La storia è nota, prima il tam tam
mediatico, il passaparola tra i fan sul web, poi un'attesa smisurata
e al tempo del debutto, nel 2006 il botto: una vagonata di dischi
venduti con
Whatever People Say That's What I'm Not. Una bella
rosicata per detrattori della prima ora, per chi riteneva i ragazzi
di Sheffield solo un'anonima cover band degli Strokes. Fortunatamente
i giorni di apprendistato/tributo finirono presto, per la gioia
dell'indie albionico. Del brit pop vorticoso dell'inizio, questo
AM
conserva lo spirito, ovviamente contestualizzandolo ad un presente in
cui i nostri sono _ finalmente _ padroni della materia a 360°.
Potremmo paragonare la carriera delle
Scimmie a quella di un pugile:
l'esordio irruento favorito dall'effetto sorpresa, poi qualche
battuta a vuoto (
Favorite Worst Nightmare), la risalita, con un nuovo
mentore (Josh Homme) e una dieta muscolare a pane e stoner che ha
dato i suoi frutti desertico/psichedelici (
Humburg e il successivo
Suck It and See). Ora al quinto album gli Arctic Monkeys sono pronti per
il assestare il colpo del ko. La missione riesce praticamente subito,
bastano i 3' fuzzy di
R U Mine? Un signor singolo. Dal punto di
vista della produzione
tout court non ci sono appunti da fare. In
grande spolvero la vena compositiva di Turner, sempre più one man
band. Gradevolissima la lennoniana
No.1 Party Anthem. Sopravvissuti _ con
intelligenza _ a gran parte dei colleghi in quella scena
(indie)finita, hanno imbastardito con una vena brit/retrò
alla Pretty Things (nel contestato video della tossica
Why'd you only
call me when you're high) il sound del desert rock (
I want it all).
Sembrerebbe quasi blasfemo unire i QOSTA ad Elton John (
Snap out of
It), ma l'esperimento funziona (come testato dai diretti interessati)
e dopo
Cornerstone (due album fa) con
Mad Sounds Turner si candida a
novello Weller. Infine il congedo con
I Wanna Be Yours, quasi un
omaggio ai Last Shadow Puppets. Può bastare?
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