venerdì 13 settembre 2013

White Lies: Big Tv

Dall'otto abbondante elargito da Q al 4 _ una mazzata di recensione _ affibbiata loro da Uncut. Nel regno unito i White Lies viaggiano a corrente alternata con fan e detrattori divisi in maniera piuttosto netta. Per gli inguaribili ottimisti Big Tv è un esempio di post/new wave della miglior specie. Per tanti altri, invece, un disco iper prodotto, che raramente riesce ad emozionare e nasconde evidenti carenze compositive. A onor del vero l'album _ un concept basato sulle vicende di due giovani innamorati che, abbandonata la provincia, vanno a vivere in una grande città _ è sicuramente più omogeneo del precedente Ritual. Secondo il bassista Charles Cave, Big Tv è anche il capitolo più melodico della loro discografia, un tripudio di tastiere e orchestrazioni ambiziose. Ogni tanto i nostri escono dal seminato, evocando (l'abominevole) Simon Le Bon in Mother Tongue, ma quando si torna al post-punk degli esordi (There Goes Our Love Again) sembra tutto perfetto: quasi sempre nello scorrere della tracklist una melodia sostenuta apre ad un ritornello killer, che rimane impresso per la sua freschezza. Questi _ personalmente _ sono i White Lies che preferisco. I problemi, semmai arrivano con i brani più lenti: difficilmente riescono ad emozionare (ad eccezione di Change, “numero” del produttore dei Suede Ed Buller). In questo la distanza con i primi Editors o con gli Interpol c'è ancora. Un gap risibile nei mid tempo magniloquenti (Getting Even). Nel complesso, il tentativo di aggiornare ai giorni nostri la grandeur del rock di metà/fine Ottanta, unendo in un colpo solo atmosfere care a Simple Minds, Echo And The Bunnymen, Depeche Mode, Cars sembra abbastanza riuscito.
 

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