domenica 21 dicembre 2008

Guns n roses: The Illusion of Democracy

Use Your Illusion non era solo il titolo dell' ultima prova in studio firmata Guns n roses, ben altro. Quelle tre parole sulla bocca di milioni di rocker in tutto il mondo hanno mantenuto fede ai loro rispettivi significati. Use Your Illusion: usa la tua personale, apocrifa versione di come sono andate le cose, l' ascesa, il successo e il black out. What is and what should never be. La mappa che ci ha lasciato l' ultima band veramente assetata di distruzione, successo, droghe e donne ha i contorni sfilacciati e bruciati. L' ardore e la furia insensata, la passione per la musica e la vita e gli spergiuri a queste due permalose dame, hanno reso tutto maggiormente complicato. Dopo che l' appetite for destruction è stato placato, cosa rimane? Il rock si è trovato improvvisamente orfano di uno degli ultimi templari, uno dei pochi che ne conoscevano il segreto. L' illusione rimasta è stata il più forte esempio di attaccamento, sbigottimento e di rumore da parte di milioni di fans, a cui è stato risposto con un silenzio, interrotto molto sporadicamente dai balbettii di comunicati stampa volutamente schivi ed evasivi. Come chi ha orchestrato l' opera, complimenti al direttore di scena dunque... William Axl Rose, regista onnipotente e fragilissimo al tempo stesso. Ogni fans, ogni detrattore ha fatto i conti con la sua personalissima Illusion, mentre lui si gingillava a guardare il corso degli eventi trovava la risposta a tutto: secondo un preciso, folle e ardito piano. Nient' altro che una meravigliosa megalomania amplificata da suoni e canzoni troppo annunciate, famose solo per presunti titoli, diventate il futuro della musica senza ancora essere state udite da nessun suddito del Re Lear. E' stato tutto un bluff, scommetto che è andato secondo i piani... che abbia previsto tutto, assecondando il suo genio instabile e capriccioso, spandendo oltre ragione un ego complesso e poliedrico, sbilanciato tra rabbia e sensibilità straordinaria sembra quasi ovvio. L' interrogativa atmosfera di suspance che apre Sorry ci porta alle conclusioni dell' intera lunghissima farsa, progenitrice dei moderni reality, banalizzazione per alcuni di una persona in affanno con i propri demoni, ma capace di domarli per pochi e brevi istanti, sparsi lungo 15 anni(o chi lo sa, forse anche di più, ma è tutto sfocato); mentre per altri solo una preziosa illusione. Il talento si riaffacciava per attimi, ad ogni modo importanti, per confezionare il libretto di una meravigliosa pièce teatrale. Axl è stato metodico nel preparare le scenografie, la fotografia è perfetta per ogni atto dell' opera: una traccia è floydiana, e dopo pochi secondi capisci che la chitarra suona seguendo le vibrazioni che l' acqua ha fatto in una pozzanghera dopo essere stata affrontata da un passo distratto, affrettato o non curante. Gli episodi si susseguono, mai banali, vissuti e depurati dalle ingenuità, complice lo svezzamento di un finissimo lavoro in studio. Molti cortigiani apprezzeranno altri capitoli, il legame col passato del gruppo e dell' america che in Madagascar, complice la voce potente e infinita di Martin Luther King, si sprigiona nella sua pienezza. Catcher in the Rye è la virtù dei forti, con una lungimiranza pazzesca, la sublimazione della merda attraverso suoni meravigliosi. There was a time rievoca il passato del Re Axl, quando pretendente al trono, scorrazzava per il regno del Sunset boulevard di LA, guidando al tramonto. This I love è un sovrano in una corte vuota e sporca, dilaniato dalla solitudine e dai suoi fantasmi. Il resto è rock n roll sofferto, solare, energico e vitale, vincente e menzoniero. Coerente con l' illusione di chiunque voglia fare i conti con questa musica.
A ciascuno il suo atto. Ogni cortigiano sarà libero di scegliersi la propria illusione ed anche la propria verità.

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