mercoledì 23 settembre 2009

Alice in Chains: Black Gives Way to Blue

Ogni due o tre anni magazine e riviste musicali aggiornano il "paniere" dei reduci di Seattle e dell'ondata grunge, menzionando figli e figliastri di un suono ancora bene impresso nella mente e nel cuore di milioni di fans. Faccio senza dirlo tra gli altri i più nobili: Nirvana, Soundgarden, Pearl Jam, e Alice in Chains. Dell'oscura creatura di Jerry Cantrell e Layne Stanley si erano perse le traccie da molti anni: dalla morte per overdose nel 2002 di Stanley, ricordato nella bella title track, gli Alice in Chains sembravano una pratica chiusa, fino al nuovo album Black Gives Way to Blue. Dietro al microfono William Duvall (sosia di Lenny Kravitz per l'estetica e del predecessore per lo stile vocale). Il disco suona molto bene, è granitico, con la voce di Cantrell a dar forza e vigore ad ogni traccia dell'LP: il chitarrista sembra "confinare" alle backing vocals il nuovo arrivato, quasi ad abituare pian piano i fan alla transizione. Difficile da digerire: il giocattolo seppur nuovo, luccicante (anzi oscuro) e curato in ogni minimo dettaglio pare non funzionare. Gli assoli sono micidiali, il sound e l'intesa tra i musicisti è più che buona come traspare dal primo singolo A looking in view o da Check my brain, eppure qualcosa non va. Ad esempio l'idea che oggi, facendo i conti con gli "anta" le inquietudini siano ancora le stesse di vent'anni fa. Gli stessi incubi. Serviva più coraggio, meno volontà di speculare con il nome della band. L'impressione che le chiavi per liberare dalle sue catene Alice siano a portata di mano e che Cantrell le nasconda a proprio piacimento è più di un legittimo dubbio.

Nessun commento: