venerdì 21 ottobre 2011

Superheavy: Superheavy

Non si può nemmeno dire che l'abbiano fatto (solo) con l'intento di aggiungere altri “zeri” ai rispettivi conti in banca, probabilmente lo scopo principale era veramente quello di dare al mondo un disco di musica veramente trasversale, il perfetto pop globale, in cui anche l'oriente, anche il mondo caraibico potessero finalmente smettere i panni di comprimari e giocare alla pari nell'economia dei vari brani. Rimane il fatto che il progetto Superheavy si è parzialmente arenato, riuscendo a tratti nell'ambizioso obiettivo. Il merito principale va a Dave Stewart (Eurythmics) per aver smosso Jagger dal recente stato di torpore invogliando Sua Maestà a prestare l'ugola su una manciata di canzoni (e questo di per se è un fatto positivo). Canzoni che, va detto, grazie alla linguaccia del leader degli Stones risultano piacevoli, e ricordano, in una versione “bon ton” certe cose della band madre, robe da Black and Blue oppure da Some Girls, metà Settanta o giù di lì. Nel gioco con la voce di Joss Stone (finalmente allo zenith espressivo), Mick regala altri ottimi spunti, creando linee armoniche piacevolissime. Il problema se vogliamo, non c'è nell'album ma nei suoi presupposti: le ballad del disco ci sono e sono ottime, ma quella patchanka definitiva che Stewart, seduto in cabina di regia e artefice di questo supergruppo si ostina a sbandierare, si fatica a scorgere. Rispetto alla posizione defilata del compositore Allah Rakha Rahman (Oscar per la colonna sonora di The Millionaire), Damian Marley si mette in evidenza con il suo inconfondibile stile. Rimane il fatto che quando è solo, Jagger regala gli spunti migliori alla faccia delle contaminazioni etc. etc. e questo basta per far capire la difficoltà nel miscelare ingredienti tanto eterogenei tra loro.

Nessun commento: