venerdì 18 gennaio 2013

Led Zeppelin: Houses of The Holy

Houses of The Holy è l'istantanea di un gruppo per l'ennesima volta in stato di grazia (nel '73 anno di pubblicazione del disco era già successo altre 4 volte: un record!). Una band ancora lontana dalle secche compositive e dalle tensioni di Presence, monocorde e disperato urlo hard rock, forse la prima e unica flessione nella discografia del dirigibile. Con questo disco gli Zeppelin contaminano il proprio sound, includendo elementi reggae, funk e pop e smarcandosi dal precedente Led Zeppelin IV. La copertina del disco è ispirata da un romanzo di Arthur Charles Clarke del 1952 intitolato “Le guide del tramonto”. “Floydiana” fino al midollo, la cover è stata realizzata da Aybrey Powell, grafico dello studio Hipgnosis (celebre per le copertine di Waters & Gilmour). Il disco (in totale 8 canzoni) alterna composizioni lunghe e articolate, con cambi di tempo, di atmosfere e registro pressoché continui e ripetuti. In quel periodo niente sembrava scalfire l'ambizione di Page, autore di un vero e proprio miracolo chitarristico per l'opener The Song Remains The Same, con un campionario sonico pressoché infinito, miracolo "bissato" in Over The Hills and Far Away. Finalmente sale in cattedra John Paul Jones, polistrumentista mai troppo lodato: è suo l'organo spettrale nella funerea No Quarter, tra l'altro l'interpretazione più dark di sempre per Robert Plant. Houses of The Holy è un caleidoscopio di atmosfere sognanti e rarefatte (The Rain Song), caraibiche (D'yer Maker, il primo reggae bianco anticipa l'esplosione della musica Giamaicana), psichedeliche o pop (Dancing Days). 

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