venerdì 31 maggio 2013

Mudhoney: Vanishing Point

 - Touch me, I'm sick-
L'essenza dei Mudhoney non è insita nella varietà del songwriting, semmai risiede nella necessità di stonare con fierezza. Si, avete capito bene. Brutalità e guasconeria a braccetto con il movimento grunge, verrebbe da dire. In primis quantità _ tanta, prevedibile, all'insegna di un “usato sicuro”. Riproponendo con coerenza una formula rodata album dopo album, i Mudhoney danno l'impressione di essere sempre lì, padrini del grunge, apprezzati da Kobain, incensati dalla critica e dal resto della scena che li ha sempre “coccolati”. Del grande pubblico _ colpevole di averli ingiustamente “relegati” al ruolo di comprimari del Seattle Sound _ se ne sono sempre infischiati. Giustamente. E Vanishing Point, pungo in faccia lungo una decina di canzoni, ne è la prova. "Selvatico" e noise come conviene in questi casi. Ascoltandolo viene quasi il dubbio che si tratti di un disco di outtake, una ristampa dagli anni d'oro, qualcosa rimasto fuori da SuperFuzz BigMuff, dagli anni belli insomma. Invece no. Le canzoni, gioiosamente furiose, sono state scritte oggi, ad un secolo dal concerto d'esordio come Mr.Epp (era il 1981) e una vita prima del bivio: schegge dei Green River verso il successo assoluto con i Pearl Jam (Gossard e Ament) e loro (Arm e Turner) a raccogliere il testimone degli Stooges, dei Sonics, degli MCS, nel solco della migliore tradizione punk/garage/noise n'roll. Il cantato sguaiato, sgraziato e stonato di Mark Arm nell'ironica I Like it Small si avvicina sempre più alle urla di San Iggy Pop da Detroit. Ottimo il punk rock tirato di Chardonnay e buona la prova con la power ballad Sing This Song of Joy; analogo discorso per I Don't Remeber You, però la macchina del tempo si ferma davvero  con  la finale Douchebags on Parade. Sembra il '91, sembra che non sia ancora uscito Nevermind, sembra che Touch Me I'm Sick sia appena stata pubblicata dalla Sub Pop. Proprio come questo disco, sinonimo di integrità.

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