mercoledì 6 novembre 2013

Jonathan Wilson: Fanfare

Dall'affollato cyberspazio di web zine si fa largo tra la folla un (almeno per il sottoscritto) illustre sconosciuto, tale Jonathan Wilson di cui (ahimé) non sapevo nulla. Peccato madornale, iperbolico, totalizzante. Lo ammetto. Sta a vedere che dal limbo esce fuori uno davvero bravo... il dubbio si trasforma in una certezza ascoltando Fanfare, ottimo disco fresco di stampa: la conferma dopo un debutto acclamato dalla critica specializzata. Un bel viaggio, un salto indietro nel tempo decenni addietro quando si registravano canzoni in presa diretta, con un'urgenza comunicativa quasi estinta al giorno d'oggi. Suoni vintage, tra folk, psichedelia Seventies ed un elegante attitudine rock, trait d'union del disco. A parte gli echi Floydiani in Lovestrong, il suono della West Coast, il suono della tradizione, si riverbera su un songwriting consapevole e smaliziato, segno che Wilson conosce a memoria la materia: potrebbe essere un profondo conoscitore di ogni singola nota suonata da CSNY. Un gioiellino, ricco di imperfezioni piacevolissime, come certe sbavature di wah wah o hammond. In termini di autenticità il disco risulta un gradino sopra la media, nessuna concezione a facili soluzioni, niente di “telefonato” per intenderci, ma una serie di divagazioni sul tema, gradevoli nella loro autenticità. L'inizio di Moses Pain, forse è stato scritto e riscritto centinaia di volte in passato, ma voce e chitarra riescono ancora ad emozionare senza fatica. Fanfare non è solo questo sia chiaro (ambito nel quale Wilson si avvicina alle vette di un certo Ellioth Smith), ma è anche un caleidoscopio dove trovano spazio ambiziose partiture per archi come in Dear Friend, 7 minuti jazzati a spasso tra deserti, canyon e galassie, ennesimo viaggio che si completa nel video omonimo.

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